Siamo sempre, costantemente, in preda a una vita che correrà comunque più veloce di noi.
Non ricordiamo l’odore dell’ultimo pasto mangiato, il nome del nuovo vicino di casa o il volto di una persona che ci ha sorriso incrociandoci per strada, per la sola voglia di rallegrare la giornata di qualcuno.
Siamo sempre di fretta, nervosi, con più caffeina che sangue a trasportarci sofferenti alla fine della giornata, tipico momento delle 24 ore in cui si maledice la società.
Poi però arrivano quelle notizie che fanno fermare il tempo, lo spazio, la mente…
Il 7 giugno scorso, un papà di 45 anni e carabiniere di professione, dimentica la propria bimba, Stella, di appena 14 mesi, in macchina, mezzo in cui purtroppo troverà la morte.
“Amnesia dissociativa”. Così è definita scientificamente la causa che ha portato questo padre ad essere convinto di aver lasciato la figliola all’asilo quando, invece, la piccolina non era mai entrata nella struttura.
In un’intervista fatta a Paolo Bersani, psicologo di Piacenza esperto in “età evolutiva, adolescenza e giovani adulti”, l’esperto ha affermato che alti livelli di stress, uniti al perseverare di questo stato accelerato nel tempo, può portare anche al citato tipo di disturbo, che si concretizza “nell’incapacità di ricordare importanti informazioni personali che non sarebbero normalmente dimenticate”, tant’è che il papà di Stella, una volta interrogato dalle autorità, ha risposto che era convinto di aver lasciato la bimba alle maestre.
Dal 1998 sono morti ben 11 bambini perché dimenticati in auto e dal 2019 è stato reso obbligatorio l’uso di seggiolini anti-abbandono (per i pargoli al di sotto dei 4 anni), dotati di un allarme acustico che ricorda la presenza del bimbo in auto.
Anche in questo caso, il progresso, lo studio che vi è dietro delle innovazioni, la scienza, sono sicuramente dei mezzi utili a migliorare la qualità di vita o almeno aiutano sotto qualche aspetto una mente ingarbugliata tra pensieri, scadenze e responsabilità ma rimane il fatto che il nòcciolo duro da cui derivano, purtroppo, queste tristi notizie, è rivestito da una società che non guarda più al benessere psico-fisico degli individui. Bisogna produrre, bisogna correre, bisogna ridurre le ore da dedicare a se stessi al minimo sindacale per non impazzire evitando, però, percorsi psicoterapeutici perché altrimenti, oltre che un lavoratore che non sa dominare la fatica, ai più figuri come un “debole”, uno “strano che tiene a preservare la sua salute mentale”, o nel peggiore dei casi, un “pazzo”.
Siamo circondati da tabù, da silenzi, da ignoranza, che ci portano a credere che “a me non succederà mai”, “io resisto”, quando invece bisognerebbe imparare ad esistere e rallentare, perché magari in futuro leggeremo meno cronache nere se l’insegnamento sarà tramandato ma, purtroppo, tante piccole anime le abbiamo perse lungo il tragitto e spero che un giorno, possano perdonare questa società inarrestabile.
Daniele Piersanti