“Ho tentato il suicidio”, mi diceva Roberto (nome di fantasia) mentre mi raccontava la sua lotta con la depressione.
“Non sentivo più nulla, zero emozioni, zero pensieri di rinascita, le voci dei miei cari le udivo solo in lontananza, i colori della vita erano sempre più sbiaditi. L’unica idea che occupava il mio cervello era quella di farla finita.
Mi ripetevo che se avessi ucciso il corpo, l’anima sarebbe stata libera di non provare più sofferenze, libera di poter finalmente riposare serena.
I giorni, i mesi, gli anni, le ore e ogni singolo ticchettio dei secondi del mio orologio sulla credenza di casa, scandivano il buio di una malattia il cui termine viene usato spesso senza saperne il significato.
Tristezza non è depressione!
Dalla mia diagnosi nel 2019 e con la pandemia, sono finito per chiudermi in casa e non uscirne più perché post Covid-19, avevo perso ogni speranza di guarire dal momento che avevo paura di incontrare anche le persone o comunque tutti mi sembravano felici e io, l’unico sulla faccia della terra, a percepire in maniera ovattata il mio vivere.
Psicofarmaci, psicoterapia, specialisti su specialisti cambiati, hanno avuto il loro effetto ma su un passo di progresso, la depressione mi abbracciava ancora più forte.
Iniziavo a guardarmi intorno per capire come farla finita.
Forbici per tagliarmi le vene? Oppure bevo della candeggina? Ho altri modi più rapidi per non respirare più non avendo armi con cui spararmi in testa? Questo pensavo, anzi questo era l’unico pensiero che avevo da quando purtroppo mi svegliavo la mattina fino a quando non crollavo la notte successiva.
Un giorno ero da solo a casa e vidi un nuovo e grande coltello nel tiretto della cucina, di quelli che taglierebbero perfino il marmo. Vedevo questa scena come un’opportunità per far giungere la mia ora finalmente. Lo prendo, lo avvicino deciso al polso per tranciarmi le vene, ma nei titoli di coda della mia esistenza che iniziavano a proiettarsi, mi passano davanti le immagini dei miei fratelli, dei miei genitori, che con la mia fine, forse sarebbero caduti anche loro nel vortice della depressione e magari avrebbero iniziato a progettare lo stesso mio estremo gesto.
Questo mi bloccò!
Da lì, senza mai dichiarare apertamente ai miei cari quello che provai a fare, decisi di farmi seguire ancora più da vicino da uno psichiatra e da uno psicologo dove il primo, alzò le dosi di farmaci da prendere mentre con il secondo abbiamo smontato ogni mia falsa convinzione e ancora oggi stiamo costruendo un nuovo me.
Quello che mi preme far sapere con questo dialogo insieme a te Daniele, è che per quanto una situazione sia difficile, finché c’è vita, si ha la possibilità di superare le proprie difficoltà senza la paura di essere additati, nel mio caso come un “pazzo” e, soprattutto, farsi aiutare se si sente la necessità perché questo è segno di maturità e voglia di avere un futuro migliore. Spero che la mia storia, anche se dietro un nome di fantasia e grazie alla tua penna, possa essere di aiuto a qualcuno per non mollare mai perché ve lo posso giurare, prima o poi torna sempre il sole”.
Daniele Piersanti