Oggi, girando per il web, ci siamo imbattuti in una pagina facebook chiamata “La sensibilità dell’anima”, la quale riportava la storia del calciatore francese Mamadou Sakho, attualmente difensore del T'orp'edo Kutaisi, squadra georgiana, ma con il passato in diverse compagini importanti tra cui PSG e Liverpool.
La storia di questo giocatore è profonda, difficile ma con delle consapevolezze e dei risvolti che sarebbe un peccato non leggerla:
"So cos’è la fame. So cos'è il freddo. Facevo l'elemosina per poter mangiare ma è capitato che non mangiassi per giorni. Notti in strada alla ricerca di un posto dove dormire.
Un giorno una donna pensando che la volessi derubare ha avvicinato a sé la borsa. Quel gesto mi ha scioccato. Volevo solo delle monete per comprare del pane ma lei pensava che volessi rapinarla.
Da quel giorno ho fatto una promessa a me stesso e le ho detto: "Guarda, ho solo fame, lei invece pensa che io voglia farle del male. Ma io, quando diventerò qualcuno, quando avrò qualcosa, giuro che restituirò tutto..."
Appena ho potuto, ho creato Amsak (un'associazione di volontariato con lo scopo di aiutare persone in Francia, Inghilterra e Africa ndr) e ho ripensato a quei giorni della mia infanzia.
Quando hai un po' di popolarità, puoi usarla in modo positivo. Non voglio essere un esempio per le persone, voglio solo aiutare e ispirare.
Sto facendo costruire un orfanotrofio a Tamba, in Senegal. Voglio che i bambini orfani non si sentano mai soli.
Lo chiamerò 'Souleymane Sakho', come mio padre.
Il giorno in cui l'ho perso avevo solo 13 anni, ma sono dovuto diventare subito un uomo. E da quel giorno sapevo anche che sarei diventato un calciatore e che avrei aiutato la gente: non era un obiettivo, era un obbligo.
Qualcuno mi ha anche chiesto se fosse stato difficile diventare capitano del Paris Saint-Germain a soli 17 anni. Ho risposto che la fascia da Capitano più difficile che ho indossato nella mia vita è stata quella per la mia famiglia, quando avevo solo 13 anni e dovevo crescere i miei sei fratelli insieme a mia madre...".
Mamadou Sakho