Per i giudici non c'è stata nessuna violazione da parte dell'azienda
La pandemia, si sa, ha rappresentato un momento difficile per molti imprendoitori ma anche dipendenti, che hanno dovuto fronteggiare l'emergenza delle nuove misure restrittive, che inevitabilmente hanno avuto serie ripercussioni sul lavoro, sulla produttività, sulle entrate e sulle retribuzioni. Oltre la metà delle imprese in Italia ha avuto infatti necessità di ricorrere alla CIG Covid. Una situazione che ha visto nascere malcontenti, come è avvenuto nell'azienda Tertex srl di Campovalano di Campli, che si è vista citare in giudizio da quattro dipendenti che contestavano la condizione di cassa integrazione.
Durante la pandemia l'azienda ha potuto continuare nel suo lavoro perché è produttrice di etichette, molte delle quali vanno anche sui capi sanitari che devono avere necessariamente il marchio CE. I fratelli Luigi e Domenico Di Matteo che gestiscono l'impresa, hanno dovuto quindi ricorrere ai mezzi messi a disposizione dallo Stato per far fronte all'emergenza, come la CIG. Turni quindi ridotti e al lavoro solo personale che poteva garantire la totale copertura della produzione. In sostanza i dipendenti che non avevano competenze a 360 gradi sono stati messi in cassa integrazione. La CIG infatti permette all'azienda di scegliere "quali mansioni mantenere in servizio e quali sospendere, con la conseguenza che è legittima l'esclusione dalla rotazione di un lavoratore che non abbia mansioni identiche agli altri dipendenti da essa interessati" (come si legge nella sentenza).
Quattro dipendenti hanno tuttavia citato in giudizio l'azienda, sostenuti dal sindacato della Filctem Cgil a cui tra l'altro tutti appartengono e che è stato parte integrante della vicenda, puntando sull'illegittimità del collocamento in Cig, sulla mancata applicazione del criterio di turnazione e su una presunta discriminazione perpetrata ai danni di personale (i ricorrenti) particolarmente attivo nelle rivendicazioni sindacali anche e soprattutto nell'azienda stessa. I lavoratori ritenevano di poter essere fungibili, vale a dire interscambiabili tra di loro e con quelli rimasti in produzione. In primo grado però, davanti al giudice del lavoro del Tribunale di Teramo, la Tertex è risultata vincitrice nei confronti di due dei dipendenti, soccombente nei confronti del terzo, mentre con il quarto si è proceduto con un accordo di transazione. Solo quindi nei confronti di uno dei ricorrenti, il giudice aveva riscontrato la violazione dei principi di correttezza e buona fede e non discriminazione derivanti dalla mancata applicazione del criterio della rotazione.
Nel ricorso in appello la situazione si è però ribaltata e la Tertex è risultata vincitrice anche nei confronti del dipendente contro cui era stata soccombente in primo grado. Alla base della decisione la Corte d'Appello di L'Aquila ha ritenuto che la sua professionalità non fosse fungibile "con quella degli altri addetti al reparto, non essendo egli munito di capacità professionale necessaria per operarvi al pari degli altri lavoratori" e che "il suo impiego a rotazione con gli altri lavoratori mantenuti in turno fosse assolutamente incompatibile con le esigenze tecnico produttive aziendali".
Nel panorama delle cronache che riportano le giuste e continue lotte dei lavoratori e dei sindacati per la tutela del diritto al lavoro, che riportano delle innumerevoli vertenze, degli smantellamenti di attività produttive, di licenziamenti, si collocano anche battaglie dove tuttavia sono le pronunce decisive a stabilire la buona condotta e la buona fede di un datore di lavoro.
ns