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D'Alberto: "Memoria e impegno per la tutela in ogni luogo e in ogni tempo della dignità dell’uomo"

“Solo quando nel mondo a tutti gli uomini sarà riconosciuta la dignità umana, solo allora potrete dimenticarci”. In questo tempo che stiamo vivendo, in cui la Storia torna a porci, tutti, davanti alle nostre responsabilità di fronte alla sofferenza di migliaia di uomini, donne, anziani, bambini, risuonano come un monito le parole che campeggiano sulla lapide dedicata ad Auschwitz, nel Sacrario di Marzabotto, 

Coltivare la memoria non può essere un esercizio retorico, non significa semplicemente ricordare o commemorare le vittime di una tragedia senza precedenti, guardando indietro. Al contrario, significa rivolgere lo sguardo al futuro, applicando nel presente quei valori propri di una nuova umanità che faccia tesoro ovunque, in ogni parte del mondo, delle tragedie del passato.

Ma la memoria, da sola non basta.

Ce lo dimostra proprio questo tempo, che ci ricorda come l’indifferenza sia complice del riaffacciarsi di quei disvalori che pensavamo confinati in un passato lontano. Come ci ha ricordato Elie Wiesel “il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza”. Parole che dovremmo scolpire nei nostri cuori.

Memoria e impegno diretto devono essere oggi veri e propri fari del nostro agire, per la tutela in ogni luogo e in ogni tempo della dignità dell’uomo.

Per questo, la nostra stella polare deve essere per noi la Carta Costituzionale, che, nata sulla tragica esperienza della Seconda Guerra mondiale, contiene proprio nei suoi articoli fondamentali il riconoscimento della dignità della persona, che ancora oggi viene calpestata ogni giorno e che troppo spesso ci trova indifferenti. 

L’Olocausto, che rappresenta l’emblema dell’annientamento della dignità dell’uomo e che non ha pari nella storia per la sistematicità e l’ingegnerizzazione della volontà di cancellare un popolo, non è stato un evento inaspettato. E’ stato l’arrivo di un percorso che si è sviluppato negli anni e al quale l’Italia non è rimasta estranea. Basti pensare alle leggi razziali, approvate nel 1938 dalla destra fascista, in un paese che, sulla scorta di radicati pregiudizi, le ha accolte per lo più nella totale indifferenza quando non in un clima di condivisione.

Per questo i Padri Costituenti, con estrema lungimiranza, lavorarono a una Costituzione geneticamente antifascista. Un antifascismo che rappresenta la radice della nostra Costituzione, che è ovunque nei suoi articoli, che fin dai suoi principi fondamentali esalta il valore assoluto della dignità. Quella dignità di cui il fascismo e il nazismo furono la più alta e drammatica violazione.

Una violazione di cui ancora oggi le istituzioni repubblicane hanno il dovere della vergogna, il dovere di chiedere scusa.

Dobbiamo essere consapevoli, tutti, che il percorso che ha portato all’Olocausto e ai suoi 15 milioni di morti tra ebrei, rom, sinti, jenisch omosessuali, popolazioni delle regioni orientali europee occupate, oppositori politici, testimoni di Geova e pentecostali, malati psichiatrici e diversamente abili, fondava le sue prime radici già nel primo genocidio del XX secolo, quello del popolo armeno, che ancora oggi è avvolto dall’oblio e dall’indifferenza e che oggi, di fronte al riemergere di nazionalismi, delle violenze in Medio Oriente, della guerra nel cuore dell’Europa, del richiamo al possibile utilizzo della bomba atomica, non possiamo certo pensare di esserci lasciati alle spalle e ci chiama tutti a responsabilità.

Per questo la memoria, oggi più che mai, non deve essere esercizio di astratta retorica ma ritrova concreta manifestazione negli occhi di tutti i bambini che la guerra ha privato dell’innocenza propria della loro età, in quegli sguardi a cui è stato negato il sorriso, il futuro. Quegli occhi, quegli sguardi, sono la dimensione più vera e più pura della dignità di ogni persona che si apre alla vita, senza spazio e senza tempo, ora come allora, a Re’im come a Gaza, in Siria come in Ucraina.

Quegli occhi e quegli sguardi che devono spingerci tutti, nessuno escluso, a lavorare per riprendere quel cammino di pace che non si estrinseca solo nel ripudio della guerra, sancito dalla nostra Costituzione all’articolo 11. Lavorare per la pace vuol dire operare affinché nessuna persona venga più considerata un numero, comprendere che la Pace è una esigenza del cuore dei popoli che, a differenza dei governi, non vogliono la guerra ma anelano, ovunque e sempre, alla pace.

E così, suona, oggi, formidabile il messaggio di umanità del presidente Mattarella, che ci ricorda come come coloro “che hanno sofferto il turpe tentativo di cancellare il proprio popolo dalla terra sanno che non si può negare a un altro popolo il diritto a uno Stato”.

Ecco perché, oggi, soprattutto per le nuove generazioni, è fondamentale conoscere figure come quelle che ci accingiamo a ricordare. Figure come quella di Alberto Pepe, tenente dell’esercito, che si offrì per la fucilazione, insieme ad altri 43 ufficiali, al posto di 12 soldati semplici. Scelta che gli costò il trasferimento nel campo di concentramento di Unterlüss, dove perse la vita. Figure come quella di Umberto Adamoli, podestà di Teramo, riconosciuto “Giusto tra le nazioni” per il suo contributo alla salvezza di innumerevoli ebrei triestini e stranieri dalla deportazione nei campi di sterminio nazisti. Uomini delle istituzioni che, insieme a numerosi altri nostri concittadini e concittadine, scelsero di stare dalla parte giusta, a rischio della vita. Uomini e donne che ebbero il coraggio di dire no all’odio, all’indifferenza, di stare dalla parte della dignità dell’uomo. 

Persone alle quali, oggi più che mai, abbiamo il dovere di ispirarci nel nostro agire, restituendo quella dignità a quel bambino che in ogni parte del mondo è costretto a versare lacrime di fronte alla guerra, alla devastazione, all'odio, alla violenza cieca.

Dobbiamo avere il coraggio e il pudore, oggi, di guardarlo negli occhi quel bambino, asciugarne quelle lacrime, restituirgli quel sorriso che è diritto universale di una nuova umanità.

 

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