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ico title sx Strage a L’Aquila. Le parole di amici e conoscenti di Vicentini: “Non possiamo crederci” ico title dx

Attualità
Cronaca

L’unico lasciato in vita è il pastore tedesco, Ken

È una intera comunità che non riesce a darsi pace sul perché Carlo Vicentini, ex primario di urologia a Teramo, abbia deciso di compiere il gesto estremo di uccidere la propria famiglia, la moglie e i due figli, e poi togliersi la vita. Una scena di orrore, quella che si è palesata nel momento in cui le forze dell'ordine, insieme al fratello e al cugino di Carlo hanno aperto la porta di casa: quattro corpi ritrovati senza vita, uno di questi ritrovato sotto al letto. Con molte probabilità si tratta del corpo di Alessandra, la figlia di Carlo, che si sarebbe nascosta nel tentativo di fuggire. La strage sarebbe avvenuta dopo le ore 2:00 di mercoledì, ma solo nel pomeriggio di ieri si è scoperto cosa era accaduto. Proprio da mercoledì infatti nessuno aveva avuto più notizie di alcun membro della famiglia. La stessa Alessandra, che lavorava come dietista presso l'ospedale di Teramo, avrebbe dovuto recarsi a lavoro il giorno seguente ma non l'ha fatto. Il suo ultimo accesso su WhatsApp risale proprio alle due di quella terribile notte di mercoledì. Sono stati il cugino e il fratello di Carlo ad allarmare le forze dell'ordine e a portarsi presso l'abitazione della famiglia per capire cosa fosse accaduto. La tesi che al momento va per la maggiore riguarda la probabile estrema apprensione che Carlo Vicentini nutriva nei confronti del figlio invalido. Sarebbe stato rinvenuto un biglietto sulla scena del crimine, contenente le spiegazioni del gesto, che è stato però subito sequestrato del magistrato. L'unico rimasto in vita e il loro pastore tedesco, Ken. «Non riusciamo a comprendere. Non riusciamo ad accettarlo». È il pensiero comune di quanti hanno avuto modo di conoscere e creare rapporti con Carlo Vicentini e la sua famiglia. «Persona e professionista ineccepibile», ha dichiarato Maurizio Di Giosia, il direttore generale della ASL di Teramo. «Dal suo ingresso nel 2002 il reparto è cresciuto in maniera esponenziale. Ho un ricordo di lui in particolare: quando ero ricoverato nel suo reparto è venuto un pomeriggio a farmi visita. Lì mi ha manifestato la sua volontà di voler andare via e abbiamo trascorso l’intero incontro a parlare di quello che secondo noi doveva essere il futuro del reparto». Non riesce a trattenere le lacrime Vincenzo Cipolletti, consigliere al comune di Teramo, che confessa di aver ricevuto la notizia in macchina e di essere stato costretto a fermarsi per il grande dolore. «Era una persona dedita al lavoro, di una cultura scientifica da elogiare. Anche se avevamo idee politiche differenti ci accomunava la stima e il rispetto reciproci. Lo ricordo in particolare al mare, eravamo vicini di stabilimento e spesso ci incontravamo, con i nostri bei pantaloncini, per fare un aperitivo. Sono stati momenti di condivisione. Mai mi sarei aspettato una cosa del genere». Il motivo della strage potrebbe rinvenirsi nella preoccupazione che Carlo Vicentini nutriva per il figlio,
probabilità che verrebbe confermata dall’opinione del capo dipartimento di oncologia, Carlo D’Ugo, che racconta di come la figlia abbia più volte parlato del comportamento particolarmente apprensivo del padre nei confronti del fratello. «Lui era una persona dedita al lavoro. Era andato in pensione da circa un mese e probabilmente per lui è venuta a mancare la sua professionalità e quel senso di riverenza che tutti avevano verso la sua figura. È l’unica cosa a cui riesco a pensare». «Il dolore verso un figlio invalido diventa un dramma - ha dichiarato l’assessore Valdo Di Bonaventura - È difficile comprendere cosa si instaura nella mente di un genitore che deve portare un tale dolore. Di Carlo ho un ricordo splendido, ha avuto un pensiero per me quando è andato in pensione, mi ha mandato un messaggio per ringraziarmi di tutte le cose affrontate insieme». «Alessandra, la dottoressa, l’avevo conosciuta pochi giorni fa - ha raccontato Benedetta, una sua paziente - eravamo quasi coetanee. Era una persona disponibile, alla mano, disposta ad ascoltare e ad aiutare. Mi ha raccontato che le piaceva andare a ballare il latino. Quando le ho parlato nell’ultima visita qualche giorno fa mi ha detto che sarebbe andata a bere un bicchiere di vino con un’amica. Una ragazza normale, simpatica e disponibile».