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ico title sx Rigopiano. Arriva la fine: 25 assoluzioni e 5 condanne ico title dx

Attualità
Cronaca

Assolti l’ex Prefetto e l’ex Presidente della Provincia. 2 anni e 8 mesi per Lacchetta

Tutti assolti perché «il fatto non sussiste» e lievissime condanne, come i due anni all’ex Sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, per la mancata pulitura della strada (e a due funzionari della Provincia). E’ questo il dispositivo della sentenza del processo con rito abbreviato, emessa dal GUP Gianluca Sarandrea sulla tragedia dell’Hotel Rigopiano di Farindola, travolto sei anni fa, il 18 gennaio 2017, da una valanga della forza di 120mila tonnellate che provocò la morte di 29 persone. In aula le lacrime dei parenti, le urla «Vergogna!», «L’Italia è finita!» e ancora «I nostri figli sono morti una seconda volta». Due anni e otto mesi quindi per Ilario Lacchetta, ex sindaco di Farindola, ritenuto responsabile limitatamente “alla condotta relativa alla omissione dell’ordinanza di intangibilità e di sgombero dell’Hotel Rigopiano”, come si legge nel dispositivo, e per cui ha inciso anche la scelta del rito straordinario. Condannati i funzionari della Provincia: Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio a 3 anni e 4 mesi; a 6 mesi il gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso e il tecnico Giuseppe Gatto. Dal dispositivo si legge della responsabilità di D’Incecco e Di Blasio, relativamente al “monitoraggio della percorribilità delle strade rientranti nel comparto della S.P. 8, e alla pulizia notturna dalla neve ovvero al mancato reperimento di un mezzo sostitutivo della turbina Unimog tg CK 236 NB fuori uso, nonché alla mancata chiusura al traffico veicolare del tratto stradale della provinciale 8 dal bivio Mirri e Rigopiano”. Concesse a entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche. Sei mesi di reclusione per falso, infine, al gestore dell’albergo e amministratore della società Gran Sasso Resort&spa Di Tommaso e Gatto, redattore della relazione tecnica allegata alla richiesta della stessa società di intervenire su tettoie e verande dell’hotel.  Uno stravolgimento del quadro accusatorio senza precedenti, che ha visto 25 assoluzioni e 5 condanne, con l’assoluzione più eclatante dell’ex Prefetto, Francesco Provolo e dell’ex Presidente della Provincia, Antonio Di Marco. Per Provolo era stata chiesta la condanna più pesante a 12 anni. Per Di Marco la richiesta era stata di sei. L’incredulità e la disperazione sui volti dei famigliari delle vittime mentre si pronunciano le parole di assoluzione verso 25 degli imputati e mentre si conferma la condanna al sindaco Lacchetta, nettamente ridotta rispetto a quella chiesta dall’accusa, passata da 11 anni e 4 mesi a 2 anni e 8 mesi. L’accusa, rappresentata dal procuratore capo, Giuseppe Bellelli, e dai pm Andrea Papalia e Anna Benigni, aveva chiesto 26 condanne (25 persone e una società), per un totale complessivo di 151 anni e mezzo di reclusione, e quattro assoluzioni. Gli imputati erano accusati a vario titolo dei reati di disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni, falso, depistaggio e abusi edilizi. Sei anni dall’evento catastrofico e 1318 giorni dalla prima udienza del 16 luglio 2019, un percorso giudiziario caratterizzato da ben 15 rinvii e le aule separate in piena emergenza Covid; un processo che ha visto la netta contrapposizione tra il dovere insito nel ruolo istituzionale e amministrativo, su cui si fondava l’accusa, e l’imprevedibilità di un evento catastrofico come quello che ha coinvolto l’Hotel. Cruciale è stata anche la super perizia disposta dal giudice che, se da un lato evidenziava chiari elementi a sostegno dell’accusa, dall’altro avrebbe potuto aprire lo spiraglio al ragionevole dubbio: è certo che la zona dell’hotel si prestava a un alto rischio valanghe e doveva di conseguenza essere monitorata; è certo che la strada che porta all’hotel doveva essere tenuta sgombra (ed è questo che ritroviamo nel dispositivo) e non intrappolare le vittime in una morsa mortale; ma il ragionevole dubbio avrebbe potuto innescarsi a causa del terremoto che si verificò quel giorno e che potrebbe aver generato nelle ore successive, un accumulo di tensione da cui scaturì la valanga.  Il Procuratore Giuseppe Bellelli nella sua requisitoria aveva auspicato «Una sentenza che in nome della Costituzione e del Popolo Italiano affermi il modello di Amministratore Pubblico che aveva il dovere di prevedere il peggio ed evitare la tragedia». Stupore, dubbi, delusione, rammarico ma soprattutto rabbia, sono solo alcuni dei sentimenti manifestati ieri pomeriggio in aula alla lettura del dispositivo. Per conoscere le motivazioni bisognerà attendere invece 90 giorni ma molte sono le perplessità emerse. Tra le prime considerazioni si fa strada l’idea che il consistente numero di imputati abbia in qualche modo svilito il peso processuale delle responsabilità. E così quella che avrebbe dovuto essere una sentenza “simbolo” diventa «La vergogna dell’Italia», «Lo schifo dei politici», il fallimento del tentativo di rendere giustizia a 29 vittime di quel 18 gennaio di 6 anni fa, che ogni anno vengono onorate da centinaia di persone, di famigliari che non possono lasciar morire la dignità, il ricordo di chi non fù soccorso, di chi non fù creduto. Perplesso l’avvocato che assiste alcuni familiari, Romolo Reboa, che  ha affermato: «Ci sono tante cose in questo processo che non mi hanno convinto». Parla di cose “extra processo” e spiega: «Purtroppo i processi si fanno nei limiti del dedotto e del deducibile, ciò che avevo contestato, l’ho contestato espressamente in aula, l’ho contestato varie volte, non sono nuovo a queste contestazioni. Voglio sia chiaro che chi è stato dichiarato non colpevole in questo momento è non colpevole. La legge va rispettata. Il problema era capire se i veri colpevoli stavano o meno dentro questo processo, ma questa è un’altra vicenda». Il clima di disperazione generato nel pomeriggio si può racchiudere nello sfogo di uno dei sopravvissuto di Rigopiano Giampaolo Matrone, 39 anni, di Monterotondo, che aveva perso a moglie Valentina Cicioni, infermiera al Gemelli e che ha gridato: «Giudice, non finisce qui».